1.1 Il rischio delle infezioni ospedaliere
1.2 Il ruolo della sanificazione degli ambienti ospedalieri
1.3 Analisi della letteratura scientifica
Il presente documento raccoglie i risultati del progetto Le infezioni correlate all’assistenza: studio etiologico dei patogeni e delle sepsi, loro distribuzione territoriale, valutazione dei fattori e dei costi correlati, promosso dall’Organismo Nazionale Bilaterale Servizi Integrati (ONBSI) e condotto da Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con Sezione di Igiene e Sanità Pubblica, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Responsabili Scientifici: Fidelia Cascini e Walter Ricciardi).
La necessità di un approccio scientifico e di ricerca al tema delle infezioni correlate all’assistenza, risulta essere un un presupposto necessario di tipo sussidiario che consente di fornire risposte al decisore politico che abbiano una robustezza quantitativa oltre a un’analisi qualitativa.
Il documento è diviso in due parti e, nella prima parte sviluppata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, analizza i fattori e i costi correlati alle infezioni ospedaliere, basato sulle voci di bilancio delle aziende pubbliche italiane. La seconda parte del documento, sviluppata dalla Sezione di Igiene e Sanità Pubblica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, riguarda l’inquadramento del fenomeno delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) in Italia, mediante studio etiologico dei patogeni, lo studio delle sepsi e l’analisi della loro distribuzione territoriale.
In generale, il progetto si propone di inquadrare il fenomeno delle ICA in Italia, di analizzare le possibili implicazioni e di fornire suggerimenti per la normativa di riferimento per le pratiche ospedaliere e per gli aspetti giuridici e assicurativi.
Il presente documento contiene, quindi, un inquadramento generale delle problematiche legate alle ICA, i risultati della mappatura delle stesse e l’analisi dei dati di bilancio delle aziende ospedaliere pubbliche italiane che consentono di identificare la relazione tra le scelte economiche del management ospedaliero rispetto alle voci di bilancio connesse al sistema di igienizzazione degli ospedali. La prima parte del documento, riguardante il rischio delle infezioni ospedaliere e il ruolo della sanificazione degli ambienti ospedalieri, prende spunto da Finzi et al (2017), che contiene la relazione ANMDO relativa al progetto per le linea guida sulla sanificazione ambientale per la gestione del rischio clinico e il contenimento delle infezioni correlate all’assistenza reperibile qui.
1.1 Il rischio delle infezioni ospedaliere
Il rischio di contrarre un’infezione durante la degenza in ospedale è uno dei principali problemi legati alla gestione degli ambienti ospedalieri. Le ICA sono tra le complicanze più frequenti che si possono verificare nelle strutture sanitarie, con una stima tra il 5% e il 15% del rischio di sviluppare almeno una ICA durante la degenza.
Un recente studio – di prevalenza eseguito dall’ECDC (European Center for Disease Control) – ha stimato che il 5,7% dei pazienti contrae un’ICA, quindi ogni anno sono 4,1 milioni i pazienti che contraggono un’infezione correlata all’assistenza, e sono attribuibili alle ICA circa 37.000 decessi, oltre a 110.000 decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa. Il trend di questi fenomeni è in aumento, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assunto il tema della sicurezza del paziente come uno degli obiettivi principali di attività a livello mondiale.
In aggiunta a questo, le ICA hanno un impatto rilevante anche dal punto di vista economico. È sufficiente, infatti, pensare che ogni caso di sepsi determina un prolungamento medio della degenza di 15 giorni, con un aumento di spesa variabile tra 5.000 e 50.000 euro. Risulta pertanto evidente come la possibilità di prevenire e ridurre il numero di ICA attraverso corrette misure di controllo, oltre al chiaro beneficio sanitario, consentirebbe anche un notevole risparmio economico a beneficio di tutto il sistema sanitario.
1.2 Il ruolo della sanificazione degli ambienti ospedalieri
Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato che gli interventi di pulizia ambientale possono ridurre le ICA. In tal senso, la sanificazione degli ambienti e le modalità di utilizzo dei prodotti sanificanti sono raccomandate in tutte le linee guida internazionali e nazionali.
Per questo è opportuno definire adeguati protocolli di pulizia per il mantenimento di un elevato livello igienico negli ambienti ospedalieri, diversificando i protocolli in base alle differenti aree di rischio.
Ogni ambiente, infatti, ha uno standard igienico ottimale che è in funzione della destinazione d’uso dell’ambiente stesso e dei flussi di persone che frequentano a vario titolo i locali. In tal senso, l’ospedale può essere diviso in macro aree di rischio infettivo.
Aree ad altissimo rischio (AAR): ambienti che necessitano di Bassa Carica Microbica e contaminazione attesa controllata per esecuzione di procedure altamente invasive e/o manipolazione di materiali critici. In queste zone gli interventi debbono essere eseguiti sulla base di procedure e istruzioni di sanificazione stabilite da norme sanitarie o da requisiti di accreditamento a esse conformi, nonché sulla base di specifici protocolli interni che indichino mansioni, addetti e responsabili. In queste aree le operazioni di pulizia e disinfezione debbono essere eseguite da operatori dedicati, specificatamente formati, con preparazione di base e di grado superiore per quanto riguarda la gestione degli ambienti dei blocchi operatori, limitando al massimo i casi di turnover del personale.
Aree ad alto rischio (AR): ambienti e aree sanitarie di diagnosi e cura con utenza a rischio o procedure assistenziali invasive, quali aree critiche e degenze ad alta intensità e complessità di cura; degenze con pazienti immunocompromessi o infetti, camere di degenza all’interno di aree sanitarie a medio rischio utilizzate come isolamenti; sale interventistiche eccetto le camere operatorie; ambienti che necessitano di contaminazione controllata per pratiche a rischio, ma senza istruzioni di sanificazione proprie dettate da norme sanitarie o requisiti di accreditamento.
Aree a medio rischio (MR): ambienti e aree coinvolte nei processi di diagnosi e cura senza utenza particolarmente a rischio, o che non prevedono pratiche e procedure assistenziali altamente invasive, quali le degenze normalmente senza pazienti immunocompromessi o infetti; le strutture per diagnosi strumentali, le aree di sosta pazienti esterne a reparti e servizi critici (esempio: sale di attesa e ludiche della pediatria), i locali amministrativi, tecnici, di servizio.
Aree a basso rischio infettivo (BR): ambienti non direttamente coinvolti nelle pratiche assistenziali quali aree amministrative, aree tecniche e di servizio, percorsi di accesso ai servizi, locali amministrativi, tecnici, di servizio e percorsi per l’accesso ai reparti non critici (medio rischio).
Aree a rischio infettivo tendente a 0 (AE/LS): zone ospedaliere non coinvolte nelle pratiche assistenziali quali tutte le aree esterne, le aree interne non di accesso diretto ai servizi; le aree di servizio tecnico.
1.3 Analisi della letteratura scientifica
Per comprendere lo stato dell’arte rispetto alle ICA è necessaria un’approfondita analisi della letteratura scientifica che consenta di avere un’idea complessiva dei progetti conoscitivi che la scienza ha realizzato in questo ambito e quali sono le principali informazioni di contesto che supportano la scelta di studiare questo fenomeno.
L’esame della recente letteratura scientifica consente di confermare quanto già noto in ambito medico-scientifico è cioè che le ICA, ossia quelle infezioni correlate ai trattamenti sanitari che generalmente i pazienti contraggono mentre si trovano in costanza di ricovero (Collins, Hughes, 2008; Cardoso, Almeida, Friedman et al., 2014; Revelas 2012) possono essere di diversa natura ed eziologia. Generalmente sono classificate in base alle sedi anatomiche e tra queste si annoverano ad esempio le infezioni da catetere venoso centrale, le infezioni del tratto urinario associate a catetere vescicale, le polmoniti spesso associate alla ventilazione meccanica, le infezioni del sito chirurgico, le infezioni sistemiche note come sepsi [Prevention CfDCa, 2014]. Le ICA rappresentano una emergenza sanitaria internazionale: dopo le reazioni avverse ai farmaci e le complicanze chirurgiche sono la causa principale di eventi avversi sanitari (Brennan, Leape, Laird et al., 1991; Garrouste-Orgeas, Philippart, Bruel et al., 2012; Leape, Brennan, Laird et al., 1991; Parameswaran Nair, Chalmers, Peterson et al., 2016).
È stato anche segnalato dal Center for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti d’America che quasi 1,7 milioni di persone ricoverate in ospedale sviluppano ogni anno ICA mentre ricevono cure per altri problemi di salute. Di questi, circa 98.000 casi di decesso sono legati solo alle ICA (Klevens, Edwards, Richards et al., 2002). È stato inoltre segnalato dall’Agenzia per la Ricerca e la Qualità dell’Assistenza Sanitaria (AHRQ) che le ICA sono le complicanze più frequentemente legate alle cure ospedaliere e sono considerate una delle prime 10 cause di morte negli Stati Uniti (Quality AfHRa 2012).
Su cento casi ospedalizzati, sette pazienti nei Paesi sviluppati e dieci pazienti nei Paesi in via di sviluppo contraggono un’ICA (Danasekaran, Mani, Annadurai, 2014). In Europa, la prevalenza varia dal 4,6% al 9,3% (Kim, Park, Jeong et al.,2000; McLaws, Taylor, 2003). Recentemente, un ampio studio europeo ha riportato che ogni anno nell’Unione Europea vengono identificati oltre 2,6 milioni di casi di ICA (Cassini, Plachouras, Eckmanns et al., 2016). A livello nazionale, la prevalenza di ICA in Italia variava dal 6,7% (9.609 pazienti ospedalizzati dal 2002 al 2004 in un gruppo di ospedali italiani) (Lanini, Jarvis, Nicastri et al., 2009) al 10,4% (1.102 pazienti ricoverati dal 2016 al 2018 in un unico ospedale italiano) (Antonioli, Bolognesi, Valpiani et al., 2020).
In termini di fattori di rischio ospedalieri o sanitari di ICA, la durata della degenza ospedaliera, l’uso di dispositivi medici (come catetere venoso periferico, catetere venoso centrale, catetere urinario a permanenza, ventilatore) (Antonioli, Bolognesi, Valpiani et al., 2020), le procedure invasive, la chemioterapia, e l’ubicazione dell’ospedale, aumentano significativamente il rischio di ICA(Lanini, Jarvis, Nicastri et al., 2009). Negli USA queste causano un importante impatto finanziario, con un costo annuale che va dai 28 ai 45 miliardi di dollari oltre che in termini di decessi (Cardoso, Almeida, Friedman et al., 2014; Anderson, 2001; Nuvials, Palomar, Alvarez-Lerma et al., 2015) e di maggiore morbilità e allungamento delle degenze ospedaliere con correlati aumenti dei costi indiretti (Klevens, Edwards, Richards et al.., 2002; Organization WH, 2011). Il costo associato delle ICA in Europa è stato stimato a 5,5 miliardi di euro sulla base del rapporto epidemiologico del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) (Prevention ECfD, 2009). La prevalenza della mortalità dovuta alle ICA varia dall’11% (Hautemanière, Florentin, Hartemann et al., 2011) fino al 38,4% (Souza, Belei, de Mayo Carrilho et al., 2015). Nel 2017, i traumi da incidenti stradali sono stati registrati come la causa favorente più comune per sepsi e letalità sepsi-correlata (Rudd, Johnson, Agesa et al., 2020).
I pazienti traumatizzati corrono inoltre un rischio particolarmente elevato di contrarre ICA (Wallace, Cinat, Gornick et al., 1999) che rappresentano anche una delle principali cause di morte in questi pazienti (Pories, Gamelli, Mead et al., 1991). Inoltre, la popolazione anziana (> 65 anni di età) risulta essere più vulnerabile alle ICA rispetto alla popolazione più giovane in ragione di una ridotta competenza del sistema immunitario e della presenza di molteplici comorbidità (Castle 2000; Kemp, Holt, Holm et al., 2013). L’impatto delle ICA, in termini di diffusione ed esposizione economica, non può dunque essere ulteriormente trascurato e occorre investire in adeguate politiche di prevenzione e gestione del rischio clinico. L’adozione di un approccio sistemico standardizzato sarebbe infatti auspicabile in qualsiasi struttura sanitaria, nonostante le difficoltà metodologiche, tecniche, comportamentali e finanziarie.
L’ultimo, recentissimo rapporto globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in materia di infezioni e antimicrobico resistenza (AMR) evidenzia i danni causati a pazienti e operatori sanitari, e fornisce per la prima volta un’analisi della situazione globale dello stato di attuazione delle misure di prevenzione e controllo, e una panoramica delle strategie e delle risorse disponibili per migliorare la situazione.
Il rapporto, destinato a coloro che siano incaricati di prendere decisioni e di formulare politiche di prevenzione a livello nazionale, subnazionale e di struttura ospedaliera, fornisce inoltre una dimostrazione dell’impatto e del rapporto costo-efficacia degli interventi di prevenzione e controllo indicando priorità e direzioni per l’attuazione di piani efficaci, sottolineando l’importanza dell’integrazione e dell’allineamento di tali interventi con i servizi igienico-sanitari.
Secondo il rapporto dell’OMS, le ICA sono tra gli eventi avversi più frequenti che si verificano durante l’erogazione dei servizi sanitari. Queste infezioni, molte delle quali causate da organismi multiresistenti, danneggiano pazienti, visitatori e operatori sanitari e rappresentano un onere significativo per i sistemi sanitari, di cui i costi associati sono solo una parte.
Ogni 100 pazienti ricoverati in ospedali per acuti, 7 pazienti nei Paesi ad alto reddito e 15 pazienti nei Paesi a basso/medio reddito acquisiscono in media almeno una infezione durante la degenza ospedaliera. E fino al 30% dei pazienti in terapia intensiva può essere affetto da una ICA con un’incidenza da 2 a 20 volte superiore nei Paesi a basso /medio reddito rispetto a quelli ad alto reddito.
Inoltre, 1 caso su 4 (23,6%) di tutti i casi di sepsi trattati in ospedale sono correlati all’assistenza sanitaria; e quasi la metà (48,7%) di tutti i casi di sepsi con disfunzione d’organo trattati nelle unità di terapia intensiva per adulti ha origine nosocomiale.
Sulla base dei dati 2016-2017, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha calcolato che 4,5 milioni di episodi di ICA si sono verificati ogni anno in pazienti ricoverati negli ospedali per acuti nei Paesi dell’Unione Europea e dello Spazio economico europeo (UE/SEE). Il problema dell’infezione e della diffusione della resistenza antimicrobica non risparmia le strutture di assistenza a lungo termine in cui l’ECDC ha stimato che si verificano ogni anno 4,4 milioni di episodi di ICA nei Paesi dell’UE/SEE. L’impatto delle ICA e della connessa AMR sulla vita delle persone è incalcolabile: nei Paesi dell’UE/SEE, l’onere delle 6 ICA più frequenti in termini di disabilità e mortalità prematura rappresenta il doppio dell’onere di altre 32 malattie infettive messe insieme.
Secondo l’OCSE, l’attuazione di un pacchetto comprendente una migliore igiene delle mani, programmi di gestione degli antibiotici e una maggiore igiene ambientale nelle strutture sanitarie ridurrebbe l’onere sanitario delle infezioni e dell’AMR dell’85%, producendo al contempo un risparmio di 0,7 euro pro capite all’anno. L’igiene delle mani e l’igiene ambientale delle strutture sanitarie, sono risultate essere gli interventi più utili e convenienti arrivando fino a dimezzare il rischio di morte da patogeni resistenti e a ridurre di almeno il 40% l’onere sanitario.