da Redazione | 30-06-2022 | Blog, Novità
È con grande piacere che ONBSI dà il benvenuto alla nuova Presidenza: Marco Verzari (Presidente), Uiltrasporti UIL, e Lorenzo Mattioli (Vicepresidente), ANIP Confindustria. La decisione è stata presa nel corso dell’Assemblea dei Soci svoltasi oggi, giovedì 30 giugno a Roma, durante la quale sono stati nominati i nuovi membri del Comitato Direttivo.
Già membri del Comitato Direttivo di ONBSI, Verzari e Mattioli hanno maturato una lunga esperienza negli Enti bilaterali. La profonda conoscenza, da parte della nuova Presidenza, del mondo dei Servizi di Pulizia, Servizi Integrati/Multiservizi, contribuirà a consolidare il continuo processo di crescita dell’Ente e a rafforzare il suo impegno a favore degli operatori del Settore.
ONBSI esprime stima e gratitudine nei confronti di Andrea Laguardia e Giovanni Daló, rispettivamente Presidente e Vicepresidente uscenti, e li ringrazia per il lavoro svolto con dedizione e professionalità in questi anni, gli ultimi dei quali caratterizzati da una Pandemia che ha fatto emergere con ancora più forza la centralità delle lavoratrici, dei lavoratori e delle imprese del Settore.
da Redazione | 28-05-2021 | Blog
“La Pandemia ha fatto emergere l’importanza del nostro Settore, da invisibili a visibili sono diventati soprattutto le lavoratrici e i lavoratori che hanno dovuto affrontare in prima linea l’utilizzo di nuovi strumenti e procedure. Abbiamo il piacere di pubblicare questa importante intervista all’Avv. Massimiliano Brugnoletti sul tema della formazione professionale. Mettere al centro le persone per noi di ONBSI significa anche incentivare e mettere in campo azioni per rendere sempre più efficace e di qualità la formazione per i nostri operatori. Con questa intervista iniziamo un percorso, nei prossimi mesi il nostro Ente sarà in grado di offrire interventi mirati di formazione per il personale del settore dei Servizi di Pulizia/Multiservizi.”
Andrea Laguardia – Presidente ONBSI
Titolare dello Studio Legale Brugnoletti & Associati, Massimiliano Brugnoletti è un avvocato esperto in contrattualistica pubblica, consulente di numerose imprese che operano negli appalti pubblici e nei servizi pubblici locali, assicurando sia l’attività di consulenza che il patrocinio innanzi ai Tribunali Amministrativi e al Consiglio di Stato.
Ed è proprio sul tema degli appalti pubblici che lo abbiamo intervistato, ponendogli anche alcuni quesiti sul ruolo e l’importanza che la formazione professionale ricopre in questo ambito (e non solo).
Quanto conta una adeguata formazione professionale nella valutazione di un’offerta in una gara d’appalto?
In tutti gli appalti la “capacità” dei collaboratori dell’affidatario di una commessa pubblica è sempre di più l’elemento importante: le “persone” che assicurano il servizio o eseguono l’opera, ma anche quelle che in azienda allestiscono le forniture per la Pubblica Amministrazione, sono il “bene” più prezioso del processo industriale che il concorrente può offrire alla Stazione appaltante. Certamente “pesa” l’organizzazione imprenditoriale della società; è anche un valore irrinunciabile la “robustezza” economico-finanziaria della società stessa, come indispensabile la “visione” e le capacità manageriali dei dirigenti e dell’imprenditore; ma non v’è dubbio che, “nel bene” (la migliore performance nell’espletamento dell’appalto) o “nel male” (la cattiva esecuzione che comporta l’illecito professionale), la capacità dei lavoratori impiegati nella commessa sia fattore decisivo.
Di ciò dovrà essere sempre più consapevole la parte pubblica. E ci sono in verità tutti gli elementi affinché questo avvenga: uno dei pilastri della riforma degli appalti del 2014 (direttive) / 2016 (codice degli appalti) è l’attenzione a tutto il processo di acquisto della Pubblica Amministrazione.
L’attenzione non è più limitata alla “gara”: la normativa primaria (direttive e codice) e secondaria (linee guida ANAC e il prossimo regolamento) dà risalto anche alla fase preliminare della “programmazione” e a quella successiva dell’“esecuzione” (in quest’ambito va anche collocato il nuovo ruolo del RUP e del DEC).
La centralità del “capitale umano” presente nell’appalto mette in primo piano la competenza professionale dello stesso, quindi la sua formazione, iniziale e “continua”. Quanto a quest’ultima, approcciando l’“appalto” senza pregiudizi e schemi precostituiti, è inconfutabile che la formazione continua del personale impiegato nell’appalto, la sua permanente competenza professionale, sia l’elemento decisivo per l’efficacia di una commessa pubblica, sia l’elemento decisivo per il raggiungimento degli obiettivi che si è data la Pubblica Amministrazione nel bandire la gara, sia l’elemento decisivo per soddisfare effettivamente gli utenti, i cittadini, ultimi (e unici) beneficiari delle commesse pubbliche.
Sarebbe auspicabile, secondo lei, che le stazioni appaltanti iniziassero a valutare la qualità della formazione garantita ai lavoratori da un’impresa come elemento premiante?
Come detto, le direttive europee del 2014 (sul punto riprendendo quanto indicato dalla Commissione nel Libro Verde del 2011) hanno posto il “lavoro” al centro degli appalti pubblici (unitamente all’innovazione e all’ambiente) e il codice che le ha recepite non è stato da meno.
L’attenzione al lavoro è un file rouge che si trova in ogni fase della procedura, dalla programmazione (con l’individuazione del costo) all’aggiudicazione (con la valutazione dell’organico e del costo aziendale), sino all’anomalia dell’offerta (la cui verifica si gioca molto sul costo della manodopera). Una delle novità del d.lgs. 50/2016 è non solo aver letteralmente “impedito” di aggiudicare al “prezzo più basso” nel caso di assegnazione di appalti con un’elevata presenza del personale (comma 3 dell’art. 95), ma anche l’aver previsto la “valutazione” dell’organigramma proposto dall’offerente tra i tanti elementi di apprezzamento dell’offerta economicamente più vantaggiosa: l’art. 95, comma 6 lett. c), del codice invita infatti le Stazioni appaltanti a valutare il personale allorché questo “possa avere influenza significativa sul livello di esecuzione dell’appalto”.
La norma da ultimo citata non si riferisce esplicitamente alla “formazione”, ma è evidente che la “valutazione del personale”, soprattutto in quegli appalti in cui la capacità è elemento essenziale della performance, non può prescindere dalla valutazione delle competenze iniziali del personale (quindi il suo grado di formazione al momento dell’avvio dell’appalto), né può prescindere dal percorso formativo successivo, ossia quello che l’operatore economico avrà previsto durante l’esecuzione della commessa.
È dunque assolutamente auspicabile che le Stazioni appaltanti, al fine di individuare la “migliore” offerta, valutino la capacità del personale dell’appaltatore “nel tempo”, non solo all’inizio della commessa, ma per tutto il tempo della stessa. È quindi auspicabile che le Stazioni appaltanti prendano maggiormente in esame la citata lettera c) dell’art. 95 comma 6 del codice nel formulare la griglia di valutazione.
Quali sono gli step da compiere per garantire una continuità formativa ai lavoratori in caso di successione nella commessa tra diverse imprese?
Poiché le gare debbono essere (sempre più) aggiudicate sulla base del progetto gestionale dell’impresa concorrente, è ben possibile che l’organizzazione dell’appalto proposta dal nuovo aggiudicatario possa essere differente da quella avuta dal gestore precedente. Non solo: è ben possibile che la Stazione appaltante, sulla scorta delle esperienze passate e delle nuove tecnologie, possa dettare nel capitolato prescrizione tecniche diverse da quelle previste nella gara precedente.
Ciò determina che, se assorbito per effetto della clausola sociale, anche il personale già impiegato debba essere formato in relazione alla nuova proposta contrattuale, oltre a dover anch’esso ricevere quella formazione continua che avrebbe dovuto comunque assicurare il precedente appaltatore, laddove fosse stato nuovamente aggiudicatario.
La continuità formativa è un bene unanimemente riconosciuto e dovrebbe essere tanto più presente nelle commesse pubbliche, che hanno come destinatari i cittadini. A tal fine sarebbe assolutamente auspicabile che, oltre a indicare i livelli di inquadramento e il monte-ore, le Stazioni appaltanti comunicassero ai concorrenti gli step formativi assicurati durante la precedente commessa, al fine di permettere una proposta formativa adeguata e coerente.
In che modo la Pandemia ha evidenziato la necessità di una migliore formazione continua nei servizi ad alta intensità di manodopera?
La Pandemia ha messo in luce la centralità delle persone; non solo quelle contagiate, ma anche quelle che hanno lavorato, indefessamente per contrastare malattie e contagio. Non v’è dubbio che le tantissime imprese presenti negli ospedali per assicurare i propri servizi siano state travolte dalla situazione emergenziale e abbiano dovuto modificare “in corsa” il paradigma del lavoro e le procedure: il personale impiegato è stato la chiave di volta dell’egregio lavoro fatto. Non v’è quindi dubbio che la situazione emergenziale abbia fatto con più vigore emergere la necessità di un personale sempre pronto e preparato.
Esistono dei criteri da rispettare nell’erogazione della formazione professionale?
I criteri per la formazione obbligatoria (come quella per la salute e la sicurezza dei lavoratori) sono declinati nella normativa dettata in materia.
Con riguardo alla formazione tesa a rendere più efficiente, efficace ed economico un appalto pubblico, non vi sono invece criteri predefiniti, salvo il principio di adeguare la formazione alle “tecniche” generali del tipo di appalto e, soprattutto, calibrare la formazione a quanto previsto in gara dalla Stazione appaltante (capitolato) e quanto offerto dall’operatore economico aggiudicatario (progetto di gestione).
È davvero auspicabile che entrambe le parti mettano maggiormente a tema la centralità del capitale umano, con indicazioni specifiche nei capitolati da parte delle Stazioni appaltanti e con una maggiore attenzione in offerta da parte dei concorrenti.
Ringraziamo moltissimo l’Avvocato Brugnoletti per le interessanti informazioni fornite durante l’intervista.
da Redazione | 12-05-2021 | Blog
Il ruolo dei servizi di pulizia e sanificazione negli ambienti ospedalieri è da sempre di fondamentale importanza, ma ha assunto un ruolo ancora più centrale durante la Pandemia.
Però, c’è da dire che, mettendo un attimo da parte il rischio di contagio da Sars-CoV-2 attualmente presente, il vero problema che le strutture ospedaliere si trovano ad affrontare quotidianamente è quello delle Infezioni Correlate all’Assistenza sanitaria.
Si tratta, come vedremo più nel dettaglio, di infezioni contratte in ospedale dai pazienti, a causa della presenza di patogeni molto pericolosi e difficili da trattare.
Per ridurre questo rischio, molto elevato e diffuso, è necessario individuare nuove tecniche di pulizia e sanificazione, investendo risorse nella ricerca e nell’innovazione.
Ma procediamo per gradi e vediamo insieme in cosa consistono le infezioni correlate all’assistenza sanitaria e quanto è importante l’impiego di tecniche all’avanguardia, come quelle individuate da un gruppo di ricercatori italiani in uno studio davvero interessante, per pulizia e sanificazione.
Cosa sono le Infezioni Correlate all’Assistenza sanitaria (ICA)
Le Infezioni Correlate all’Assistenza sanitaria, per brevità ICA, sono
“Infezioni acquisite che costituiscono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria e possono verificarsi in ogni ambito assistenziale, incluso gli ospedali per acuti, il day-hospital/day-surgery, le strutture di lungodegenza, gli ambulatori, l’assistenza domiciliare, le strutture residenziali territoriali.”
Questa la definizione proposta dal Ministero della Salute sul sito ufficiale (qui).
Si tratta, quindi, di infezioni contratte in ambiente sanitario nel ricevere cure mediche, che possono avere 4 cause principali:
- introduzione di nuove tecnologie sanitarie che, pur migliorando le possibilità terapeutiche e l’esito della malattia, possono favorire l’ingresso di microrganismi nel nostro corpo;
- l’indebolimento del sistema di difesa dell’organismo (immunosoppressione);
- la scarsa applicazione di misure di igiene ambientale e di prevenzione e controllo delle infezioni in ambito assistenziale;
- l’emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici.
Come si può leggere, quindi, la pulizia e l’igienizzazione degli ambienti è un pezzo del problema, che può e deve essere affrontato in modo adeguato.
I numeri di un problema molto diffuso
Le statistiche relative alle Infezioni Correlate all’Assistenza sanitaria non lasciano spazio a interpretazioni o dubbi. Si tratta, a tutti gli effetti, di un’emergenza, sia dal punto di vista strettamente sanitario che economico.
Con un pizzico di cinismo, infatti, bisogna riconoscere che curare queste infezioni comporta dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale non indifferenti, che pesano sul bilancio di una struttura ospedaliera.
Ecco i dati del Ministero sulle ICA annuali:
- 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza
- 37.000 decessi attribuibili
- 110.000 decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa
- I costi vengono stimati in approssimativamente 7 miliardi di Euro, includendo solo i costi diretti
- La frequenza di pazienti con un’infezione contratta durante la degenza è pari a 6,3 ogni 100 pazienti presenti in ospedale
- Nell’assistenza domiciliare, parliamo di 1 paziente ogni 100
- Circa il 50% delle ICA è prevenibile
- Le ICA più frequenti riguardano il tratto urinario (35-40%), l’apparato respiratorio, le ferite chirurgiche, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie)
Come ridurre le ICA con le nuove tecnologie
Abbiamo accennato all’inizio dell’articolo che i servizi di pulizia e disinfezione degli ambienti ospedalieri ricoprono un ruolo essenziale nella prevenzione e riduzione delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria.
Purtroppo, però, tra le cause principali abbiamo visto esserci l’introduzione di nuove tecnologie mediche e l’aumento della resistenza agli antibiotici da parte di alcuni ceppi di batteri. Ne consegue che anche le tecniche di pulizia e sanificazione devono aggiornarsi e innovare.
In tal senso riteniamo davvero molto interessante riportare i risultati di uno studio su una tecnologia basata su disinfettanti probiotici.
Trattandosi di una metodologia sperimentale e relativamente nuova, in molti ne stanno testando l’efficacia; questo, beninteso, non mette in discussione i metodi considerati “tradizionali”, che al momento risultano altrettanto efficaci.
Cos’è una tecnologia basata su sistemi probiotici?
Si tratta di un sistema di pulizia e sanificazione degli ambienti basato su detergenti ecologicamente sostenibili contenenti spore di probiotici del genere Bacillus.
Esso integra diversi fattori, come una tecnica di attivazione specifica per la competizione biologica, l’utilizzo di materiali specifici in microfibra (che combinano le attività di spazzatura e lavaggio), procedure certificate e controllo microbiologico.
Questi fattori garantiscono degli standard che includono un basso carico microbico e stabilità nel tempo.
Cosa emerge dallo studio?
Secondo i ricercatori, che hanno condotto degli studi per alcuni mesi in diversi ospedali italiani, la tecnologia basata su disinfettanti probiotici ha dimostrato di ridurre i patogeni presenti sulle superfici ospedaliere fino al 90% rispetto alla disinfezione chimica convenzionale (conventional chemical cleaning – CCC).
Un incremento dell’utilizzo di questa tecnologia nei reparti di medicina interna/geriatria e neurologia nei prossimi 5 anni in Italia consentirebbe di evitare almeno 31.000 ICA e 8.500 antibiotico-resistenze, risparmiando così almeno 14 milioni di euro, di cui 11.6 solo per il trattamento di ICA resistenti.
Conclusioni
Sistemi di igiene innovativi e sostenibili dal punto di vista ambientale potrebbero ridurre sostanzialmente la resistenza agli antibiotici, aumentando la protezione della salute in tutto il mondo.
È tempo di innovare su ogni versante, sia sull’utilizzo da parte delle imprese di nuove tecnologie e nuove modalità di svolgere le pulizie, sia formando il personale delle imprese di pulizia con un particolare interesse sulla sanificazione degli ambienti ospedalieri.
Continua innovazione e formazione possono infatti contribuire, all’interno di un processo più ampio e complesso, a ridurre le infezioni correlate all’assistenza sanitaria.
da Redazione | 14-04-2021 | Blog
Il 19 febbraio 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 29 gennaio 2021, contenente i “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione degli edifici e ambienti ad uso civile, sanitario e per i prodotti detergenti”.
Si tratta di quelli che, comunemente, vengono definiti Nuovi CAM, in quanto presentano in effetti alcune novità rispetto ai “vecchi” CAM, pubblicati con il decreto 24 maggio del 2012.
All’articolo 1 del Decreto è indicato il campo di applicazione dei nuovi criteri ambientali minimi, poi specificati nell’articolo 2:
- servizio di pulizia di edifici e di altri ambienti a uso civile;
- detergenti per le pulizie ordinarie delle superfici;
- detergenti per le pulizie periodiche e straordinarie delle superfici;
- detergenti per l’igiene personale;
- prodotti in tessuto carta per l’igiene personale;
- servizio di pulizia e sanificazione di edifici e altri ambienti a uso sanitario.
Rispetto ai vecchi CAM, ora sono contemplati anche treni, aeromobili, natanti e assimilati.
Vediamo insieme cosa sono i CAM, quali novità sono state introdotte e in che modo influiscono sull’assegnazione delle gare d’appalto.
Cosa sono i CAM
Il Ministero dell’Ambiente, con lo scopo di contenere gli impatti ambientali connessi alle attività di pulizia di edifici e altri ambienti a uso civile, nonché connesse alle forniture di alcuni altri prodotti per l’igiene, ha introdotto i cosiddetti CAM, acronimo di “Criteri ambientali minimi”.
Questi criteri mirano innanzitutto alla riduzione dell’impiego di sostanze pericolose, imponendo
“l’acquisto e l’uso di detergenti con formulazioni migliori sotto il profilo ambientale e della tutela della salute e, prescrivendo l’impiego di elementi tessili in microfibra, l’uso di sistemi di dosaggio e di diluizione tali da evitare che dosaggi e diluizioni siano effettuate in maniera arbitraria dagli operatori, consentono di razionalizzare il consumo di prodotti detergenti e disinfettanti.”
Per approfondire, consigliamo di consultare l’allegato 1 al Decreto, qui.
Quindi, sono interessati da questi criteri vari soggetti, dagli esercenti servizi di pulizia agli enti pubblici, passando per i produttori e distributori di prodotti e attrezzature di pulizia.
Cosa cambia con i nuovi CAM 2021 in ambito civile
Una prima novità introdotta con i nuovi CAM 2021 è quella menzionata prima, ovvero l’inserimento, tra gli ambienti per la cui pulizia è necessario il rispetto di questi criteri, di treni, aerei, navi e assimilati.
Si specifica, inoltre, che la pulizia delle superfici esterne riguarda esclusivamente le operazioni solitamente svolte dalle imprese di pulizia, non comprendendo, quindi, la pulizia dei vetri sulle facciate dei palazzi che richiede l’impiego di attrezzature specifiche.
Vediamo le altre novità principali.
Detergenti con o senza certificazione Ecolabel
I detergenti usati per le pulizie che non sono in possesso della certificazione Ecolabel UE o equivalente possono essere utilizzati solo se concentrati, con tasso di diluizione minimo fissato all’1% (1:100) per le pulizie cosiddette “a bagnato”, mentre per la preparazione di prodotti da vaporizzare il tasso di diluizione è pari a 1:2.
In ogni caso è richiesto il possesso di rapporti di prova di conformità ai CAM rilasciato da un laboratorio accreditato UNI EN ISO 17025.
Macchinari elettrici
Per quanto concerne i macchinari elettrici, i nuovi CAM prevedono l’obbligo da parte dell’offerente (in una gara, s’intende) di indicare già in fase di offerta le soluzioni per ridurre gli impatti ambientali in tutte le fasi (disassemblaggio, manutenzione, inquinamento acustico, e così via).
Formazione del personale
Il personale deve essere adeguatamente formato ai sensi del d.lgs. 81/2008.
Le attività di formazione devono essere eseguite in modo da agevolare l’apprendimento e la memorizzazione delle informazioni soprattutto in relazione:
- alle operazioni di pulizia e sanificazione;
- alla gestione delle macchine e attrezzature di lavoro;
- ai processi di lavaggio a minore impatto ambientale;
- alla gestione degli indumenti utilizzati.
Nel nuovo quadro normativo, sono state aggiunte alcune tematiche tra gli argomenti da trattare in fase di formazione del personale, tra cui la gestione delle macchine, delle loro batterie, la gestione dei rifiuti, del vestiario, le proprietà della microfibra.
In ambito sanitario, invece, sono state aggiunte ore sugli elementi metodologici per garantire una disinfezione efficace e ambientalmente sostenibile.
Sono state inserite un numero minimo di ore di formazione e di affiancamento, con la possibilità di procedere in modalità e-learning.
Per il personale assunto in corso di esecuzione contrattuale, i termini per presentare le evidenze relative alla formazione erogata passa da 60 a 30 giorni.
Prodotti ausiliari per l’igiene
Importanti novità sono state introdotte in relazione ai prodotti ausiliari per l’igiene.
Eccole:
- divieto di utilizzare attrezzature e prodotti non riparabili;
- divieto di utilizzare elementi tessili a frange per le pulizie a bagnato;
- divieto di utilizzare elementi tessili e carta tessuto monouso, fatto salvo documentati motivi di sicurezza;
- gli elementi tessili impiegati per le pulizie ordinarie a bagnato devono essere riutilizzabili, piatti e in microfibra. Almeno il 30% di questi ultimi devono possedere l’etichetta ISO Tipo I;
- per spolverare devono essere utilizzati elementi tessili riciclati;
- evitare la discrezionalità degli operatori per quanto concerne il grado di impregnazione dei tessuti, utilizzando procedure e sistemi adeguati;
- il monouso in carta eventualmente impiegato deve essere in possesso del marchio PEFC o un altro equivalente, o dell’etichetta Remade in Italy (classe A o A+), o del marchio Ecolabel UE;
- i carrelli con secchi e contenitori di plastica devono essere riciclati almeno per il 50% del loro peso, con colori diversi a seconda della destinazione d’uso (detergente e risciacquo).
Prodotti disinfettanti
Per quanto riguarda i prodotti disinfettanti è stata introdotta la conformità al regolamento (CE) n. 528/2012 del Parlamento e del Consiglio.
Viene, inoltre, richiesto un utilizzo sostenibile dei disinfettanti, con una particolare attenzione alle modalità di utilizzo, alla frequenza, ai dosaggi.
Questo prodotto va adottato entro 3 mesi dalla decorrenza del contratto.
Igiene delle mani
Nei CAM 2012 non c’era nessun criterio relativo ai saponi lavamani, mentre ora con i nuovi CAM è stato inserito l’obbligo di certificazione Ecolabel UE o equivalenti.
In aggiunta, è previsto l’obbligo di utilizzare degli erogatori di sapone per le mani in forma schiumosa, senza gas propellenti.
Criteri premianti
Con i nuovi CAM sono stati inseriti dei criteri premianti per quelle realtà offerenti che si impegnano a rispettare i criteri richiesti garantendo adeguati livelli di pulizia, contenendo gli impatti ambientali anche in base al ciclo di vita.
Nello specifico:
- utilizzo di detergenti con marchio Ecolabel UE o altre etichette conformi alla UNI EN ISO 14024, con imballaggi in plastica riciclata;
- utilizzo di detergenti per le pulizie ordinarie in possesso del marchio Ecolabel UE o altre etichette conformi alla UNI EN ISO 14024 privi di fragranze;
- utilizzo di prodotti in carta tessuto, anch’essi in possesso del marchio Ecolabel UE o altre etichette conformi alla UNI EN ISO 14024;
- uso esclusivo di tessuti in microfibra in possesso del marchio Ecolabel UE o altre etichette conformi alla UNI EN ISO 14024;
- adozione di tecniche di pulizia e sanificazione innovative;
- uso di prodotti con certificazione sull’impronta climatica UNi EN ISO/TS 14067 o fabbricati da aziende certificate SA 8000;
- erogazione di servizi di pulizia esclusivamente o parzialmente manuali.
A questi criteri principali seguono poi una serie di sub criteri, che riguardano, ad esempio, l’indicazione di produttori dei detergenti impiegati.
Criterio sociale
Altri punti sono assegnati nel caso in cui si assicuri il rispetto e l’applicazione di misure atte a migliorare il benessere organizzativo, come la concessione di un tempo adeguato per svolgere le mansioni assegnate, un piano di turnazione che rispetti le esigenze individuali e del lavoro, la previsione di premi di produttività.
Specifiche Tecniche
Altra novità relativa ai detergenti consiste nell’obbligo di certificazione, per quanto concerne le pulizie ordinarie, Ecolabel UE, Der Blaue Engel Nordic Ecolabel o Österreichisches Umweltzeichen.
In caso di etichettatura differente da quelle appena menzionate, deve essere presente una scheda tecnica molto dettagliata.
Come abbiamo già detto in uno dei punti precedenti, i detergenti non certificati possono essere utilizzati solo se concentrati.
Conclusioni
Come si legge, quindi, le imprese esercenti servizi di pulizia, in ambito civile e/o sanitario, devono attenersi ora ai nuovi CAM, questi criteri ambientali minimi richiesti dagli enti preposti.
Si tratta di criteri che non si possono affatto ignorare, perché obbligatori per partecipare alle gare d’appalto, in particolare quelle indette da enti pubblici.
Si consiglia, quindi, di studiare la normativa e confrontarsi con un consulente specializzato.
da Redazione | 22-10-2019 | Blog
I lavoratori del settore pulizia sono esposti, per la natura stessa delle mansioni svolte, al cosiddetto rischio biologico, che può compromettere la loro salute.
Le imprese, di conseguenza, hanno l’onere e l’obbligo di creare le condizioni di lavoro migliori possibili, in modo da ridurre il rischio e prevenire il danno, fornendo DPI adeguati allo scopo e organizzando sessioni di formazione on the job per rendere i lavoratori consapevoli ed edotti.
Cos’è il rischio biologico
Cosa s’intende per rischio biologico? Come suggerisce il termine, si tratta del pericolo derivante dalla presenza sul luogo di lavoro di agenti biologici.
Una definizione precisa è presente all’interno del D.Lgs. 81/08, altrimenti noto come Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro:
“agente biologico: qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.”
Qualche esempio?
Urine, sangue, materiale organico in decomposizione, muffa, batteri, virus, funghi.
Questo rischio risulta particolarmente elevato quando si opera in ambienti ad elevata esposizione, come un ospedale ad esempio.
Gli addetti alla pulizia che operano all’interno di una struttura ospedaliera devono fare molta attenzione a evitare il contatto con agenti biologici potenzialmente pericolosi.
Classificazione degli agenti biologici
L’articolo 268 del Titolo X contenuto all’interno del D.Lgs. 81/08, contiene un sistema di classificazione degli agenti biologici.
Il legislatore ha individuato 4 gruppi di agenti biologici, ordinati seguendo un livello di pericolosità crescente.
Li riportiamo di seguito:
- agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
- agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
- agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
- agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.
Come ridurre il rischio biologico
Come accennato all’inizio, il datore di lavoro ha una serie di obblighi, tra cui la valutazione del rischio e la riduzione dello stesso attraverso una serie di azioni indicate nel Testo Unico sulla sicurezza.
Le elenchiamo di seguito:
- evitare l’utilizzazione di agenti biologici nocivi, se il tipo di attività lavorativa lo consente;
- limitare al minimo i lavoratori esposti, o potenzialmente esposti, al rischio di agenti biologici;
- progettare adeguatamente i processi lavorativi, anche attraverso l’uso di dispositivi di sicurezza atti a proteggere dall’esposizione accidentale ad agenti biologici;
- adottare misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali qualora non sia possibile evitare altrimenti l’esposizione;
- adottare misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un agente biologico fuori dal luogo di lavoro;
- usare il segnale di rischio biologico e altri segnali di avvertimento appropriati;
- elaborare idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana ed animale;
- definire procedure di emergenza per affrontare incidenti;
- verificare la presenza di agenti biologici sul luogo di lavoro al di fuori del contenimento fisico primario, se necessario o tecnicamente realizzabile;
- predisporre i mezzi necessari per la raccolta, l’immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti in condizioni di sicurezza, mediante l’impiego di contenitori adeguati ed identificabili eventualmente dopo idoneo trattamento dei rifiuti stessi;
- concordare procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all’interno e all’esterno del luogo di lavoro.
In base all’ambiente di lavoro vanno poi applicati accorgimenti personalizzati, comprese misure igieniche adeguate per i lavoratori impiegati.
da Redazione | 18-10-2019 | Blog
Gli operatori del settore delle pulizie sono esposti quotidianamente a sostanze pericolose, essenziali per lo svolgimento del proprio lavoro.
Detersivi, disinfettanti, prodotti chimici vari, possono provocare danni anche gravi nei lavoratori, soprattutto quando non vengono forniti i DPI adeguati e svolto una accurata fase di formazione sulla sicurezza.
I datori di lavoro, e più nel dettaglio gli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), hanno l’obbligo di illustrare ai dipendenti i rischi derivanti dall’utilizzo di agenti chimici pericolosi, anche alla luce delle recenti emanazioni normative nazionali ed europee.
Regolamento REACH
Nel 2016 la Commissione dell’Unione europea ha rilasciato un aggiornato della legislazione in materia di sostanze chimiche, emanando il regolamento CE n. 1907/2006, altrimenti noto come Regolamento REACH.
Quest’ultimo istituisce un sistema integrato di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche, al fine di migliorare la protezione della salute umana e dell’ambiente, mantenendo la competitività e rafforzando lo spirito di innovazione dell’industria chimica europea.
Rischio chimico: definizioni
Per comprendere a pieno il concetto di rischio chimico è necessario effettuare una classificazione in:
- Sostanza: un elemento chimico e i suoi composti, allo stato naturale o ottenuti per mezzo di un procedimento di fabbricazione;
- Miscela: una miscela o una soluzione composta di due o più sostanze;
- Articolo: oggetto a cui sono dati durante la produzione una forma, una superficie o un disegno particolari, che ne determinano la funzione in misura maggiore della sua composizione chimica.
Sostanze e miscele sono presenti in diverse forme:
- Gas;
- Vapore;
- Polvere;
- Aerosol;
- Nebbia;
- Fumo;
- Fibra.
L’esposizione a prodotti chimici, se gestito in modo approssimativo, può causare danni nei lavoratori, in particolare alla pelle, agli occhi e alle vie respiratorie.
Valutazione del rischio chimico
Se il lavoro da svolgere presuppone l’impiego o l’esposizione a sostanze chimiche è necessario valutare i seguenti elementi:
- Proprietà pericolose degli agenti chimici;
- Informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza;
- Livello, tipo e durata dell’esposizione;
- Circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti;
- Valori limite di esposizione professionale o valori limite biologici;
- Effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare;
- Conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria.
Al termine del processo di valutazione del rischio si possono verificare le seguenti 4 situazioni:
- Rischio basso per la sicurezza ed irrilevante per la salute;
- Rischio basso per la sicurezza e non irrilevante per la salute;
- Rischio non basso per la sicurezza ed irrilevante per la salute;
- Rischio non basso per la sicurezza e non irrilevante per la salute.
In base alla tipologia di rischio analizzato, è necessario adottare misure di sicurezza e prevenzione adeguate come, ad esempio, la sostituzione dei prodotti con alternative meno pericolose, la riduzione del tempo di esposizione e/o la quantità di sostanza da impiegare, l’impiego dei DPI più idonei, il miglioramento delle condizioni igieniche del luogo di lavoro, e così via.
Come abbiamo avuto modo di spiegare in un precedente articolo, a fare la differenza è la formazione on the job, che consente di aumentare la conoscenza e la consapevolezza delle misure di sicurezza da adottare per ridurre il rischio chimico.